affrancazione dei canoni
enfiteutici, volontaria o giudiziale… e per legge
Not. Lavinia Vacca
20.01.2002
Il paese in cui
vivo è gravato, per una buona metà, da vincoli per canoni enfiteuticiche, in
realtà, sono tali solo di nome.
Non c'è più
nessuno infatti che versi le 200 o 300 delle vecchie lire ai concedenti, i
quali ultimi (o meglio, i loro eredi) o hanno smesso da tempo di pretenderle, o
sono, come nell'ipotesi di antiche casate, completamente spariti.
Il fatto che i
canoni continuino però a gravare sui beni può alla lunga causare una enorme
serie di disagi.
Ad esempio:
Tizio e Caio,
qualche anno fa, si confezionano un onesto preliminare di vendita di
un'abitazione, scambiandosi, da buoni amici, caparra e possesso.
Vengono da me,
qualche mese prima del termine fissato per la stipula, incaricandomi della
vendita nonchè del mutuo che Caio doveva contrarre con un Istituto di Credito, per
poter completare il pagamento del prezzo.
Redigo la
relazione preliminare citando -ahimè- il diritto del concedente che comunque
veniva fuori dalla situazione catastale, concedente che, nel caso specifico,
rispondeva al solenne nome di "Lopez y Royo Francisco fu Bartolo".
Inutile dire che
sfogliando l'elenco telefonico di Mesagne non c'è (nè c'è mai stato) un Lopez y
Royo qualcosa; inutile farsi rilasciare una dichiarazione dai precedenti
proprietari degli ultimi cinquant'anni attestante che mai, proprio mai, avevano
versato alcunchè a chicchessia, inutile cercare di convincere il “bancario"
che quel maledetto canone non aveva più alcuna rilevanza giuridica.
Non ci fu nulla da
fare.
Non sarebbe opportuno
che questi assurdi vincoli vengano eliminati con un provvedimento legislativo?
L'atto di affranco
può essere una soluzione quando il concedente è facilmente rintracciabile.
Ma nel caso di un Lopez
Y Royo do Nascimento, che soluzione può esserci, se non quella dello Stato?.
Not. Francesco Boni
Prova a
vedere la L. 07.01.1974, n.3, recante norme integrative ed interpretative della
L. 15.02.1958, n. 74, che ha disposto all'art.1, che i diritti dei concedenti
relativi a rapporti di prestazioni fondiarie perpetue, sono trasformati in
diritti di credito nei confronti degli utilisti, per una somma pari a venti
volte il canone dovuto per l'anno 1870.
Tale credito
(art.2) doveva essere estinto tramite affrancazione entro un anno
dall'emanazione della Legge ed, in ogni caso, tale diritto di credito si
sarebbe prescritto nel termine di due anni successivi.
L'art.3 precisa
che qualora i proprietari utilisti non intendessero assumere il debito, debbano
darne notizia alla controparte e presentarsi entro un anno dalla data di
entrata in vigore della Legge all'atto di ricognizione di cui all'art. 969, c.c.
(reintegrazione nel possesso del concedente).
L'art.4 ha
disposto, infine che: "gli Uffici Catastali e quelli Immobiliari
cancelleranno, entro tre anni dall'entrata in vigore della presente legge, ogni
intestazione riguardante i diritti di cui all'art.1, salvo che non sia prodotto
l'atto di ricognizione di cui all'art. 3".
In passato ho
presentato delle istanze al Catasto ottenendo la cancellazione del livello,
tuttavia mi risulta che ultimamente le istanze non vengano più evase.
La L. 15.02.1958, n. 74, si
riferisce ai canoni livellari veneti.
Not. Paolo Giunchi
Sull'affrancazione,
vedasi:
Casu, In tema di
affrancazione di canoni di legittimazione, in CNN 22.07.1988, in n.206
Giunchi,
Affrancazione ed imposta di registro, in BDN 19.07.1996, Studio n. 469 bis
Dir. Reg. Entrate
Abruzzo 13.05.1997, n. 27679
D'Orsogna,
Affrancazione canone enfiteutico. Giudizio di congruità dell'indennità, in Il
fisco n.29\1997
Cass. 06.03.1989,
n.1221
Dizionario
Enciclopedico del Notariato e L. 15.2.1958 n. 54 che, dettata per i canoni livellari
veneti, richiama la disciplina dell'enfiteusi (art.971, c.c., modificato dalle L.
18.12.1970, n.1138 e L. 29.01.1974, n.165)
e si ritiene applicabile ad ogni fattispecie di affrancazione (livelli,
canoni, mense ecc).
Not. Adriano Pischetola
Nel tentare di
rispondere al quesito di Lavinia (come sempre posto con eleganza, arguzia e
accattivante ironia), non vorrei fare mia la famosa frase di Camus de 'La
peste', ove l'autore afferma che 'pensare con chiarezza significa non sperare
più!
Pur su un tema
così ostico come quello dell'enfiteusi, vorrei cercare di coltivare la speranza
di arrivare ad una qualche conclusione.
Qui - è ovvio - non parliamo del procedimento
non contenzioso o volontario dell'affrancazione, ma solo di quello che prescinda
o sia addirittura in contrasto con la volontà del concedente di addivenire a
tale risultato.
E' bene subito
sottolineare che secondo parte della dottrina, in ciò avvalorata da alcune
decisioni giurisprudenziali ed in seguito alla emanazione della legge
18.12.1970, n. 1138, all'enfiteuta spetterebbe un incondizionato diritto al
riscatto, tale da omologare il diritto all'affrancazione ad una sorta di
espropriazione forzata del diritto reale del concedente.
Di tanto sarebbe
prova anche la procedura di affrancazione dei terreni legittimati ai sensi
dell'art. 9, L. 16.06.1927, n. 1766 (riguardante più specificamente il
riordinamento degli usi civici), in riferimento alla quale taluno - in
particolare da parte dei sostenitori della cd. teoria unilateralista - ha
sostenuto la possibilità di una semplice presa d'atto (ad es. a mezzo formale
delibera) da parte dell'Ente concedente di fronte all'atto unilaterale di
affrancazione al medesimo ente notificato dall'utilista; presa d'atto, cui
attribuire la forma di “atto pubblico” (sia pure in forma amministrativa) e da
utilizzare per l'esecuzione della formalità della trascrizione.
Ma è evidente che
sia pure accedendo a questa impostazione, laddove mancasse l'atteggiamento
collaborativo ancorché minimale del soggetto concedente, non si potrebbe
pervenire all'affrancazione.
Giocoforza sarebbe
allora ricorrere ad una procedura contenziosa di affrancazione (tanto per le
enfiteusi rustiche quanto per quelle urbane ed edificatorie) che - secondo
quanto precisato da Falzone-Alibrandi
in Diz.Encicl. del Notariato, voce Canoni enfiteutici, p.426 - sarebbe regolata ancora dagli artt. 2 sgg.,
L. 22.07.1966, n. 607, ove è previsto che la domanda giudiziale di
affrancazione venga proposta con ricorso al Pretore (ora Tribunale) competente
per territorio.
Anche ai fini
della trascrizione (cfr. art. 2643, n.7) tertium non datur: o atto volontario
di affrancazione o sentenza.
Certo, si potrebbe
pensare anche alla usucapione del diritto del concedente o titolare del dominio
diretto, ma da parte di chi?
Potrebbe essere il
suo diritto usucapito da un terzo?
A mio avviso
(conforme vedi Cian/Trabucchi, in Commentario breve al codice civile, art.
957 c.c.) non ci sono ostacoli teorici a che ciò avvenga... anche se ciò
complica non poco le cose per il titolare del dominio utile...
Con maggior difficoltà,
invece , ritengo possa essere concepita un'usucapione del diritto del
concedente da parte dell'enfiteuta stesso, soprattutto se può esservi stata in
costanza di rapporti di durata perpetua una 'ricognizione' del diritto del
concedente.
Eppure, laddove
ipotizzassimo una 'interversione' del possesso di spettanza dell'enfiteuta,
magari effettuata attraverso 'opposizione contro il diritto del proprietario o
suoi aventi causa (o potenziali tali) ai sensi dell'art. 1164, c.c., si
dovrebbe ritenere possibile anche l'usucapione del pieno dominio da parte
dell'enfiteuta, con conseguente perdita del proprio diritto da parte del
concedente (Cass. 936/1971).
Forse, la
soluzione migliore risiede in un competente provvedimento legislativo!